Come diagnosticare una fascite plantare
La diagnosi di fascite plantare è essenzialmente clinica, qui esamineremo brevemente sintomi, diagnosi e trattamento.
Qual è il dolore tipico della fascite plantare?
La fascite plantare è caratterizzata da un dolore acuto puntiforme tipico e patognomonico, localizzato in un punto preciso del tallone, corrispondente all’inserzione della fascia plantare sull’apofisi anteriore del calcagno, avvertito al mattino appena si scende dal letto e che tende poi a migliorare durante la giornata.
Fascite plantare: sintomi. Dolore è più intenso al mattino?
In assenza di carico durante la notte, la fascia si retrae e si accorcia. Quando al mattino mettiamo nuovamente il piede a terra, l’aponeurosi si mette nuovamente in tensione esercitando una trazione sulla sua inserzione calcaneare che risulta più intensa in quanto la fascia è più corta e contratta e i muscoli plantari meno tonici.
L’imaging conferma la diagnosi ed esclude altre cause di dolore al tallone.
Fascite plantare: sintomi e trattamento. Quali sono gli esami che devono essere eseguiti per la diagnosi di fascite plantare?
Una semplice radiografia del piede evidenzia la presenza di spina calcaneare in quasi il 50% dei casi, utile a determinare la relativa cronicità della malattia ed esclude lesioni ossee o fratture da stress.
Un altro strumento diagnostico è l’ecografia, con la quale possiamo stabilire lo spessore della fascia plantare ed evidenziare l’eventuale presenza di lesioni fasciali, oltre a escludere altre patologie come fibromatosi plantare, corpo estraneo e xantomi plantari.
Nei pazienti con fascite plantare sintomatica, lo spessore della fascia plantare tende a essere maggiore di 4 mm, e quando arriva o supera i 6 mm rappresenta un’indicazione chirurgica.
Può essere utile una risonanza magnetica?
La risonanza magnetica ci mostrerà in dettaglio tutta l’anatomia, evidenziando, oltre all’ispessimento e a eventuali lesioni dell’aponeurosi plantare, la presenza di edema osseo, di infiammazione del cuscinetto adiposo, escludendo cisti ossee o microfratture calcaneari.

Generalmente, fare la diagnosi è semplice; la vera sfida è trovare un trattamento di prima linea efficace ed economico.
Fascite plantare: sintomi e trattamento. Come intervenire.
Nel 70% dei pazienti il dolore si riduce significativamente con il solo trattamento conservativo entro un anno dalla sua insorgenza.
Trattamento conservativo della fascite plantare
In cosa consiste il trattamento iniziale?
Per prima cosa si dovrà procedere all’identificazione e alla rimozione delle cause che hanno determinato la fascite plantare, sia nella vita quotidiana che nello sport.
Si dovrà porre particolare attenzione all’eventuale presenza di anomalie meccaniche e metaboliche, e in particolare ad eventuali alterazioni della deambulazione e della corsa, che andranno modificate per ridurre le forze di reazione del suolo contro il tallone.
Quali sono i difetti più frequenti che dovranno essere corretti?
Dovranno essere corrette eventuali anomalie come:
- iperpronazione;
- supinazione eccessiva.
Per farlo si ricorrerà a plantari o a calzature sportive specifiche, per attenuarne gli stress meccanici.
Esistono anche anomalie della corsa come:
- overstriding;
- eccessiva oscillazione verticale.
Queste possono essere corrette aumentando la cadenza in modo da accorciare la falcata e ridurre il tempo di permanenza e l’angolo di inclinazione del piede al suolo.
Anche provare a modificare le modalità di contatto del piede con il terreno, passando dall’appoggio con il tallone (heel strike) all’appoggio con il mesopiede o avampiede (forefoot strike) – meglio se in collaborazione con un preparatore atletico – può risultare determinante.
Fascite plantare: sintomi e trattamento. Quali rimedi possono essere adottati autonomamente dal paziente stesso?
Molto utile è l’applicazione di ghiaccio direttamente sul piede per ridurre l’infiammazione e il dolore associato.
Un modo semplice ed efficace è costituito dal ghiacciare una bottiglietta d’acqua da mezzo litro e farla rotolare sulla fascia dolente per almeno 20 minuti due volte al giorno, in modo da eseguire anche un massaggio profondo della aponeurosi stessa.
Stretching
Lo stretching della aponeurosi plantare e del tendine di Achille rappresenta spesso il trattamento iniziale per la fascite plantare.
Si tratta di un trattamento popolare, efficace e a basso costo che viene spiegato al paziente in modo che possa eseguirlo autonomamente senza ricorrere a un fisioterapista.
Lo stretching agisce secondo il principio che una forza applicata ripetutamente porta a un rimodellamento positivo di una struttura, se tale forza lavora entro i limiti di resistenza della struttura stessa, non superando mai il carico di rottura.
L’allungamento ripetuto dell’aponeurosi plantare pertanto migliora la fascite plantare, specie se presente anche una retrazione del muscolo gastrocnemio e dei muscoli intrinseci del piede.
Ortesi e tutori notturni possono risultare utili?
Un altro trattamento comunemente usato sono i plantari, meglio se realizzati su misura; con essi correggiamo tutte le alterazioni statiche e dinamiche del piede che generano eccessiva tensione sulla fascia plantare.
Un’alternativa a basso costo ai plantari sono le talloniere a coppa in silicone o plastica.
Questi rimedi trattano efficacemente tutte le alterazioni biomeccaniche causa di fascite plantare, come l’iperpronazione del piede, il piattismo o, al contrario, un’eccessiva altezza della volta plantare (come il piede cavo e la supinazione) riducendo così il picco di pressione plantare.
Anche gli splint notturni, indossati mentre i pazienti dormono per evitare che il piede riposi in posizione plantare flessa, possono trattare con successo la fascite plantare.
Lo splintaggio aumenta inoltre la flessibilità dei muscoli del polpaccio e riduce la contrattura della fascia plantare, motivo di dolore durante i primi passi della giornata.
Quando queste misure conservative non hanno dato i risultati attesi è bene passare a un trattamento più efficace, e cioè alla terapia infiltrativa.
Quali sono le infiltrazioni più usate nel trattamento della fascite plantare?
Infiltrazioni di corticosteroidi.
Diversi studi hanno confrontato le iniezioni di corticosteroidi con placebo e hanno stabilito che le iniezioni di corticosteroidi hanno fornito un sollievo a breve termine che solitamente però dura non più di 1 mese, ed è pertanto utile per risolvere nel breve periodo la sintomatologia acuta.
Infiltrazioni di acido ialuronico.
Hanno il vantaggio di non atrofizzare il cuscinetto adiposo e rendere più elastiche le fibre tendinee, oltre a un’azione trofica sull’inserzione osteocartilaginea del calcagno. Semplici da eseguire senza bisogno di macchinari, sono per la loro efficacia il nostro trattamento di prima scelta.
Infiltrazioni di plasma ricco di piastrine.
Rappresentano una fonte naturale di fattori di crescita riparativi per aiutare nella guarigione.
Il plasma ricco di piastrine può essere utilizzato per ripristinare e rigenerare la fascia plantare.
Infiltrazioni di sangue autologo.
Queste iniezioni sono simili alle iniezioni di plasma ricco di piastrine, ma utilizzano il prodotto di sangue intero invece del solo plasma. Le iniezioni di sangue autologo sono un trattamento più recente e non sono ancora state studiate a fondo. Uno dei pochi studi ha rivelato che l’85% dei pazienti ha avuto un miglioramento e il 68% è rimasto senza dolore al follow-up di 12 mesi.
Infiltrazione di tossina botulinica.
Rappresentano un trattamento molto recente e particolarmente efficace in quanto sfrutta l’azione decontratturante della tossina botulinica sulla muscolatura plantare e su quella del polpaccio, il cui allungamento potenziato da un programma di stretching porta alla risoluzione del dolore.
Quando vengono utilizzate le onde d’urto?
Per i pazienti con dolore da fascite plantare che non risponde ai trattamenti descritti in precedenza, l’ESWT (terapia a onde d’urto extracorporee), può essere un’opzione.
In questo trattamento, le onde sonore ad alta energia producono lesioni che promuovono la neovascolarizzazione e la guarigione, stimolando fattori di crescita locali.
Il rischio principale di questo trattamento è il danno permanente della fascia se viene applicata una pressione eccessiva.
Fascite plantare: trattamento chirurgico
Quando si deve ricorrere al trattamento chirurgico?
Approfondimento: video di un’intervento chirurgico mininvasivo per Fascite plantare: https://youtu.be/mqsSsTuUXPM
Se il trattamento conservativo non ha avuto successo da oltre 6 mesi e se la fascia plantare mostra un ispessimento pari o superiore a 6 mm, è indicato il trattamento chirurgico.
Le opzioni includono:
- il release parziale o completo della fascia plantare;
- il release del muscolo gastrocnemio.
Tali interventi chirurgici possono essere eseguiti a cielo aperto, endoscopicamente o per via percutanea.
Personalmente eseguiamo in prima scelta una fasciotomia mediante una minincisione di 2 cm, attraverso la quale eseguiamo:

- una fasciotomia selettiva dissecando il terzo mediale della fascia;
- dopodiché asportiamo lo sperone calcaneare con strumentario percutaneo sotto guida scopica;
- in fine pratichiamo una microperforazione del calcagno in modo da ridurre la congestione e l’edema osseo.

Qual è lo scopo di tale procedura?
L’incisione della aponeurosi provoca l’allungamento di tale struttura e pone fine alla trazione ritmica sul punto di inserzione calcaneare, portando alla risoluzione della sintomatologia dolorosa.
Associamo sempre un’infiltrazione locale di gel piastrinico ad azione antinfiammatoria per stimolare i processi di riparazione del tessuto degenerato.
Qual è la convalescenza?
Si tratta di una procedura mininvasiva di pochi minuti, seguita da una convalescenza di tre settimane, di cui solo la prima con carico protetto da due stampelle.
Dopo tre settimane solitamente si osserva la scomparsa della sintomatologia dolorosa, e dopo 6 si può tornare all’attività sportiva.
Quando si ricorre invece al release del muscolo gastrocnemio?
Nei casi in cui vi sia una retrazione importante di tutto il sistema achilleo calcaneo plantare può essere indicato il release del muscolo gastrocnemio, che personalmente eseguiamo per via endoscopica, ovvero utilizzando una cannula in plastica per proteggere le strutture nervose e vascolari, attraverso la quale introduciamo un uncino con cui, sotto guida artroscopica, eseguiamo la sezione dell’aponeurosi in modo da allungare il muscolo retratto.

La convalescenza e il decorso post-operatorio sono brevi, circa tre settimane, analogamente alla fasciotomia mininvasiva.